Essere liberi nel proprio comportamento, cioè comportarsi come si vuole, non è così scontato come vorremmo che fosse, e spesso la forza di volontà non basta. Chi comanda?
Siamo sempre certi di poter fare quello che desideriamo, o talvolta le abitudini che non riusciamo a modificare prendono il sopravvento su di noi? Siamo padroni di scegliere cosa fare con le emozioni che proviamo, di come comportarci quando un’emozione ci assale? Spesso reagiamo di fronte ad una situazione, impulsivamente, invece di soffermarci a soppesare l’accadimento per agire di conseguenza. Si accende l’ennesima sigaretta, si apre senza fame la porta del frigo e si fruga dentro.
Oppure, al contrario, si desidera fare qualcosa ma un blocco lo impedisce: qualcuno forse ricorda episodi fanciulleschi in cui si voleva invitare a ballare la fiamma del momento, invece resta il rimpianto di non esserne stati capaci.
Libertà di essere
Potersi sentire padroni di sé stessi, cioè comportarsi come si vuole, come si ritiene adeguato, non essere preda di impulsi né di blocchi è quasi sempre il motivo per cui una persona decide di intraprendere un percorso alla scoperta di sé.
Magari si vorrebbe guidare con meno aggressività, soffrire di meno i colleghi indisponenti, essere più in controllo dei propri impulsi, mangiare solo quando si ha fame, fumare di meno… Oppure un’azione interrotta. La volontà di fare una telefonata, cantare o ballare in pubblico. Qualcosa impedisce di farlo, eppure per gli altri sembra così semplice muoversi al ritmo di musica! Si sente dentro, nel corpo, un elastico che ti trattiene, o forse un peso sul petto. E si rinuncia a scendere in pista, a raccontare una barzelletta di fronte a troppe persone, perché manca il respiro, e allora si tace.
Troppo spesso si fa quello che non si vorrebbe fare, oppure non si fa quello che si vorrebbe. E magari ci si ripromette di cambiare, con la buona volontà, di solito a settembre, dopo le vacanze, o con l’anno nuovo.
Il cervello è abituato
In primis, non dipende tutto dalla volontà: non è l’io cosciente a tendere questi tranelli, bensì talune parti del cervello che sono abituate a mantenere un certo comportamento. Il punto è che gli impulsi elettrici del cervello, per loro precipua natura, seguono la strada più rapida, che è quella che sono abituati a percorrere, un po’ come una macchina che a suon di fare sempre la stessa strada segna dei solchi sul selciato. Tecnicamente, questa reattività si chiama interruzione del ciclo del contatto, che consiste nel non riuscire a fare contatto con una propria istanza interiore.
Qual è il motivo per cui ci si vergogna, ad esempio? Da dove origina la vergogna? Come fare contatto con questa emozione e come risolverla?
Piccola regressione: il modello della Gestalt, teoria, nata cent’anni fa, si occupa di percezione. Il termine Gestalt significa forma, e viene compreso, per esempio, non appena si guarda questa figura, il famoso Triangolo di Kanisza.
Allo stesso modo funzionano gli automatismi cerebrali. Nel momento in cui il cervello riceve uno stimolo che gli ricorda una situazione precedente, tende a comportarsi nella stessa maniera già accaduta. Non elabora il contatto con la situazione presente, ma si rifà a schemi noti. È un meccanismo che si può scardinare, con una terapia che miri ad imparare comportamenti più efficaci ed efficienti sia nella relazione con il mondo esteriore che con quello interiore. Continuando la metafora dell’automobile di cui sopra, il guidatore, con pazienza e perizia, meglio se accompagnato, esce dai solchi già scavati ed intraprende una nuova strada. A livello di neuroscienze, si scardinano i percorsi sinaptici abituali e se ne creano di nuovi.
Ad esempio, durante una terapia psicologica, il professionista counselor accompagna il cliente a rimappare le sue abitudini e modi di interpretare la realtà, e lo fa non solo con le parole ma con appositi esercizi pratici. Attraverso il contatto con l’esperienza, osservando “da fuori” la situazione, la si contempla nella sua interezza, con tutte le sue sfaccettature, e non solo nella forma che ormai il cliente ha fissa nella sua visione.
La meditazione
Se ne parla fino alla nausea, ma unicamente perché è davvero uno degli strumenti più potenti: se i comportamenti, il carattere, la personalità si manifestano come conseguenze del funzionamento dei circuiti cerebrali, è logico che modificando questi circuiti, si modifichino i comportamenti e ciò che ne consegue.
Modificando alcune parti di sé con esercizio che coinvolgono stati non ordinari di coscienza (i cosiddetti stati alfa), si ha la possibilità di andare a maneggiare direttamente la plasticità del cervello, metaforicamente parlando: si può agire direttamente sull’hardware.
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