La ricerca continua del piacere è un meccanismo della Natura per farci crescere

da | Neuroscienze

La ricerca del piacere è un meccanismo di cui la natura ha bisogno per la sopravvivenza della specie: un uomo curioso amplia il proprio territorio, acquisisce conoscenze, indaga, cresce.

L’estate è il tempo della vacanza. Etimologicamente si intende che i posti da noi frequentati come la casa, l’ufficio, resteranno vacanti. Almeno fino al nostro ritorno.

Estate è il tempo dei viaggi. Molti di noi partono per un viaggio, per poi tornare. È con questo spirito rassicurato che si parte: con la certezza di ritornare al sicuro tra le pareti domestiche, prima o poi. Un’escursione più o meno lontano, abitudini quotidiane diverse, e poi il rientro alla normalità. Forse nella nostra epoca questo spostamento spaziale ha guadagnato in sicurezza e smarrito un po’ del senso di avventura, pochi sono i posti rimasti inesplorati, si cammina sempre sulle orme di qualchedun altro. Eppure si continua a partire, anche se il mondo è già stato tutto scoperto, o quasi. Nuovi colori, nuovi odori, nuovi sapori: al cervello piace scoprire cose nuove. Grazie alle neuroscienze si è scoperto che anche la ricerca e l’ottenimento di nuove informazioni attivano le aree cerebrali preposte alla ricompensa, quelle stesse che entrano in gioco quando si mangia o si assumono droghe: nel meccanismo del piacere è coinvolto il rilascio della dopamina.

La dopamina e il meccanismo del piacere

La dopamina è un neurotrasmettitore essenziale per moltissime funzioni corporee e mentali, come la memoria e il sistema di attivazione e ricompensa. Ad esempio, bassi livelli di dopamina vengono riscontrati in persone affette dal Parkinson. Come dicevamo, è strettamente legata al meccanismo di ricompensa, che consiste in quella scarica di piacere che proviamo quando riceviamo qualche gratificazione, come il cibo, il sesso, un buon bicchiere di vino. È la sostanza che ci spinge a ricercare nuove gratificazioni, una sorta di droga endogena.

È probabilmente un meccanismo di cui la natura ha bisogno per la sopravvivenza della specie: un uomo curioso amplia il proprio territorio, acquisisce conoscenze utili a tutta la sua tribù, indaga, cresce. Certo, assumendosi notevoli rischi. Il diventare stanziale, il dedicarsi all’agricoltura piuttosto che alla caccia, ha ridotto tali rischi, cambiamento che si è sedimentato nel corso dei millenni: oggi è decisamente più difficile farsi sbranare da una tigre, e molto più facile perdere la salute a causa della sedentarietà.

Se il nostro destino fosse stato quello di restare in un luogo, avremmo avuto le radici e non i piedi. (Rachel Wolchin)

Uscire dalla propria zona comfort

L’uscita dalle abitudini può essere anche trasposta sul piano psicologico, quando si parla di zona comfort. È il concetto per cui si resta confinati in ciò che emotivamente non suscita reazioni, ansia, timore, paura ma anche eccitazione, aspettativa. Si sta comodi nella propria stanzetta dell’anima. Ma per crescere è necessario porsi in una situazione che non si conosce, sperimentare il disagio di essere fuori dai propri comportamenti abitudinari, che non necessariamente producono reazioni positive. Magari si scopre un nuovo mondo, magari non piace, ma almeno si è sperimentato, si è andati oltre i propri confini. Neurofisiologicamente, uscendo dalla propria zona di comfort, si è anche costruita una nuova pista sinaptica, un nuovo collegamento tra neuroni, si è sperimentata una nuova modalità. Magari non è andata bene, non è piaciuto e, se così fosse, si è comunque sperimentato qualcosa di nuovo: si è scoperto che non piace. Ed è comunque una scoperta. È così che si cresce: scoprendo, sperimentando, sbagliando.
Come un bimbo, come un esploratore, come uno studioso.

Tra vent’anni non sarete delusi delle cose che avete fatto, ma da quelle che non avete fatto. Allora levate l’ancora, abbandonate i porti sicuri, catturate il vento nelle vostre vele. Esplorate. Sognate. Scoprite. (Mark Twain)

Partire sì, ma per dove?

Si parte perché l’uomo è nomade, nella sua essenza primigenia. Centinaia di migliaia di anni di peregrinazioni in cerca di cibo hanno lasciato la traccia nel nostro DNA, e non sono bastati diecimila anni di stanzialità, tanti ne sono passati da quando l’uomo ha iniziato a dedicarsi all’agricoltura (lo racconto anche qui), a farci perdere il senso del viaggio, il bisogno di spostarsi, di esplorare, di scoprire. Queste due tipologie, cacciatore e agricoltore, vengono magistralmente messe in scena nella Bibbia, fin dalla Genesi, capitolo 4, quando l’agricoltore Caino uccide il fratello cacciatore Abele, a simboleggiare il nuovo paradigma che sostituisce il vecchio, e Dio lo maledice: “Forse a Dio non piace chi mette radici” è l’ipotesi dello scrittore argentino Alberto Managuel. Certo la Bibbia è un libro di viaggi: da Mosè che si trascina dietro il popolo ebraico attraverso il deserto a Gesù che non sta mai fermo. Per non parlare dei viaggiatori più noti: Ulisse peregrina lungamente attraverso sfide e pericoli, prima di rivedere Itaca, Dante viaggia all’interno dell’inconscio collettivo, Svevo fa viaggiare il povero Zeno Tutini dentro di sé.

Dove andare? L’importante è partire: c’è una saggia massima ermetica che insegna che il Sentiero si disvela camminando.

Spazio, ultima frontiera. Eccovi i viaggi dell’astronave Enterprise durante la sua missione quinquennale, diretta all’esplorazione di strani, nuovi mondi, alla ricerca di altre forme di vita e di civiltà, fino ad arrivare là dove nessun uomo è mai giunto prima. 

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DI VIAGGI INTERIORI

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