Caffè e Cacao non sono solo due bevande che troviamo nella nostra cucina, ma due vere e proprie medicine che alterano la percezione, ciascuna in un modo diverso, e che hanno una profonda influenza sulla nostra vita.
È sfida aperta tra caffè e cacao, la bevanda degli dei: i prodotti culturali di evasione, come lettura e cinema, propongono di evadere da una quotidianità che è diventata una prigione, o una gabbia dorata.
Letture di evasione, film di evasione, momenti di evasione: termini ed abitudini consolidate oramai nella quotidianità; ma da cosa si cerca di evadere? Solitamente, è la prigione quella da cui si evade. Viene da chiedersi se dunque l’essere umano non si senta imprigionato, incastrato nella sua quotidianità, o se non sia forse recluso in una gabbia dorata, in cui staziona inconsapevolmente per sentirsi al sicuro, poiché il sistema ha promesso di eliminare l’incertezza quotidiana della lotta per l’esistenza a chi aderisce alle sue regole.
È un consolidato paradigma di cui da secoli si occupano fior fiore di filosofi, da Locke a Hobbes, fino a Marcuse e Foucault. Ma basta guardare fuori dalla finestra per trarre le proprie conclusioni senza nemmeno leggere tomi eruditi: viviamo in cubi di cemento e ci spostiamo in scatolette di metallo, abituati ad avere senza fatica l’acqua calda corrente in casa, nonché l’elettricità che garantisce di trovare cibo sano nel frigorifero grazie a incursioni all’ipermercato anziché avventure di caccia nella foresta.
In sostanza, l’essere umano, con il suo intreccio di relazioni ed interazioni, ha creato un sistema sociale di valori e norme condivisi che è esondato dal suo ruolo originario ed è diventato un controllore. Come sottolineato anche da Foucault, il sistema non ha più bisogno di far pressione sulle persone per piegarle ai propri ordini: lo fanno da sole e con piacere perché hanno il terrore di essere tagliate fuori da esso. È come se ci fossimo costruiti intorno un alto muro dalle pareti imbottite che – illusoriamente – ci protegge dalle incertezze, ma ci isola da una vita più ricca di senso. Intorno a questa idea i Pink Floyd ci hanno costruito uno degli album più longevi della storia della musica, The Wall.
Caffè e capitalismo: felice connubio.
Tutto ciò quindi ha un prezzo, forse più di uno. Negli ultimi anni non solo si è ridotta l’aspettativa della speranza di vita in buona salute, ma è aumentata la difficoltà di conciliazione tra lavoro e famiglia, così come la criminalità e la CO2, e la diseguaglianza di reddito. Questo almeno a livello globale. A livello individuale, invece, ciascuno può osservare se e quanto si senta sopraffatto da schemi imposti dall’esterno, dalla continua rincorsa contro il tempo, e quanta difficoltà trovi nel riuscire ad incastrare tra tutti i doveri e gli impegni un piccolo spazio da dedicare a se stesso.
Per sostenere tutto questo stress, è inevitabile dunque evadere, illudersi di potersi arrampicare su quel muro per guardare oltre, alla ricerca di un significato. Non stupisce che le droghe, intese come sostanze che alterano le percezioni fisiche e mentali, siano in costante aumento per quanto concerne il loro uso e abuso. Stupisce, invece, quali siano le droghe prese in considerazione negli studi sociali: non solo cannabis, legalizzata anche in Germania, ma anche quelle socialmente accettate – e quindi più subdole – come alcol e caffè.
Il caffè, uso e abuso della droga preferita.
Sì, caffè. Sostanza psicotropa ai cui sintomi di dipendenza, abuso ed astinenza è dedicato un capitolo nel DSM V, ovvero il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, riconosciuto in tutto il mondo coma la bibbia della psichiatria.
È di alcuni anni fa un illuminante libro del divulgatore scientifico Michael Pollan intitolato semplicemente Caffeina. Nelle pagine, l’inattesa eppure logica tesi di come l’abuso quotidiano di tazzine di caffè sia il complice principale dell’ascesa del capitalismo, con una disamina sugli effetti neurologici e cognitivi della sua assunzione. Per uno studio più completo della questione, l’autore si imbarca in un periodo di astinenza, scoprendo con orrore come la sua vita sia più lenta, più melmosa e difficile senza la quotidiana dose della sua droga preferita. Innanzitutto si trova preda dei sintomi di astinenza, segno della dipendenza fisica, ma si ritrova anche privato di quella nota sensazione di benessere, energia, vigilanza e socievolezza che la tazzina di caffè gli comportava.
Obnubilato nel lavoro e nella vita in generale, senza la propulsione datagli dalla stimolazione delle ghiandole surrenali e dall’adrenalina da esse prodotta, considera fallito l’esperimento e rinuncia all’astinenza dopo poche settimane. Questo gli stimola alcune riflessioni, a partire da un esame storico: parte dal primo dopoguerra americano, quando dichiaratamente alcune fabbriche distribuivano gratis il caffè ai loro dipendenti per stimolare la produzione e aumentare gli standard dell’efficienza lavorativa. Ma come funziona, a livello fisiologico? Oltre al boost di adrenalina prodotto dalla stimolazione delle ghiandole surrenali, la caffeina blocca i recettori dell’adenosina, che è la molecola responsabile della sensazione di stanchezza e del bisogno di dormire. La caffeina blocca questi recettori facendo sì che la stanchezza non venga sentita. Quindi oggi abbiamo la pausa caffè, ovvero l’istituzionalizzazione di un momento di ricarica, ogni paio d’ore circa, che è il tasso di durata della spinta illusoria data dalla bevanda scura.
Una tazzina di caffè, o meglio due o meglio ancora tre, ha quindi la capacità di aumentare produttività e concentrazione poiché fa sentire sempre carichi ed energici: è ovvio che sia la bevanda di elezione di un sistema ossessionato dall’idea di performance e velocità, in cui l’essere umano è funzione di un apparato, e a cui viene richiesto appunto di funzionare in maniera sempre più efficace ed efficiente, un perfetto ingranaggio da oliare all’interno del sistema tecnologico.
Spiritualità e piante maestre.
Come ogni altra sostanza psicotropa, anche il caffè nasce da un contesto religioso. Così come l’alcol rientrava nei rituali mistici dei Saturnali, prima di venire derubricato a pausa ed aperitivo tra amici, e come la marjuana rientrava nelle pratiche dell’induismo vedico per connettersi al dio Shiva, così anche il caffè era una bevanda sacra utilizzata soprattutto dai Sufi dello Yemen prima delle loro meditazioni.
Secondo le tradizioni spirituali, quando una sostanza sacra viene dissacrata, cioè viene usata fuori dal contesto cerimoniale, primariamente per scopi ludici, lo spirito originario la abbandona e, poiché la natura aborre il vuoto, lo spazio che resta viene occupato dai demoni che insidiano e corrompono l’essere umano rendendolo loro schiavo con la dipendenza.
Il cacao, la bevanda degli dei, fonte di beatitudine.
Opposta all’eccitazione del caffè, c’è la sensazione di calmo benessere data da un’altra pianta che troviamo sui bancali del supermercato, di cui facciamo largo, larghissimo uso, senza conoscerne l’origine e le potenzialità: il cacao. Ben lontano dal cioccolato che può balzare subito alla mente, le fave di cacao sono il frutto della pianta sempreverde Theobroma cacao; le fave vengono essiccate e tostate, sbriciolate e ricomposte in cubotti edibili senza altra aggiunta, né zucchero né aromi. Il nome botanico è suggestivo e indicativo alquanto: Theo sta per Dio e broma per cibo. Il “cibo degli dei” viene fatto risalire alle tradizioni mesoamericane: ne facevano uso rituale Maya, Aztechi, Olmechi e Toltechi.
Furono gli spagnoli i primi occidentali ad entrare in contatto con il cacao assunto sotto forma di bevanda, e ne riconobbero la capacità di connettere con spazi di coscienza di benessere quasi estatico, divino. In effetti, il cacao è noto per contenere dopamina, serotonina e feniletilamina, che sono chiamate le molecole del benessere (Bliss chemical), e soprattutto contiene anandamide, un endocannabinoide che è stato associato a sensazioni di benessere e felicità. Una considerazione su tutte: Ananda in sanscrito significa beatitudine.
In dosi cospicue, in base agli studi scientifici, i flavanoli del cacao portano a risposte più efficienti di ossigenazione dei tessuti nelle aree frontali del cervello, che si traducono in miglioramenti delle prestazioni della corteccia prefrontale. Maggiore concentrazione e maggiore introspezione: saranno questi anche i motivi per cui è sempre più diffusa negli ambienti che si occupano di meditazione e spiritualità la Cerimonia del Cacao. Rifacendosi agli antichi rituali mesoamericani cui si accennava, l’assunzione della bevanda amara porta in uno spazio che si allontana dal normale stato di coscienza, permettendo di sperimentare anche visioni e intuizioni. Infatti, il suono ritmico dei tamburi altera la frequenza delle onde cerebrali favorendo uno stato cosiddetto theta, in cui la persona sperimenta uno stato situato tra la veglia e il sonno, fatto di pace interiore, creatività e guarigione emotiva.
Quindi, così come il caffè permette di sostenere la cattività nella gabbia dorata che ci siamo costruiti, permettendoci di lavorare sempre di più senza accusare stanchezza, il cacao mostra che la porticina della gabbia dorata in realtà è aperta, e permette di uscirne per assaporare nuove modalità esistenziali, più libere e più connesse con la propria essenza individuale, i propri sogni e desideri.
Scopri la Cerimonia del Cacao
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